31 marzo: Giornata Internazionale della visibilità Transgender
Il 31 Marzo è la giornata internazionale della visibilità transgender.
Il #TDoV è un’occasione per celebrare le persone trans e non binarie in tutto il mondo, e diffondere consapevolezza sulle discriminazioni che ancora oggi vengono messe in atto.
In ambito HIV, dopo oltre 40 anni di ricerca, i dati sulla popolazione transgender sono ancora troppo pochi. Nella stragrande maggioranza degli studi infatti le persone trans vengono considerate soltanto in base al sesso loro assegnato alla nascita, il che non solo sminuisce la loro identità, ma le lascia relativamente invisibili agli occhi degli operatori della sanità pubblica e alle organizzazioni di advocacy che lavorano su prevenzione, trattamento e assistenza sanitaria legata all'HIV.
Eppure i pochi studi recenti che prendono a campione donne transgender (e gli ancor più rari studi su uomini trans) registrano globalmente alti tassi di infezione nella popolazione trans.
Le donne transgender avrebbero ad esempio una probabilità 49 volte superiore di contrarre l'HIV rispetto alla popolazione generale. E sebbene per gli uomini transgender si registrino meno probabilità di contrarre l’HIV, anche quei tassi di infezione restano comunque superiori alla media della popolazione generale.
Transfobia ed emarginazione continuano ad essere i principali fattori che contribuiscono ad alzare i tassi di infezioni. Altri fattori di rischio correlati includono "tassi più elevati di abuso di droghe o alcol, lavoro sessuale, incarcerazione, problematiche abitative, tentativi di suicidio, disoccupazione, mancanza del sostegno familiare, violenza, stigma, discriminazione, accesso limitato all'assistenza sanitaria e incontri negativi con la sanità".
Vivere in società in cui stigma e discriminazione impattano fortemente, lo sappiamo da anni, spinge verso situazioni in cui il rischio di contrarre il virus aumenta notevolmente. E qualora ci si infetti limita anche la capacità di ottenere cure adeguate.
Buone pratiche di contrasto a questa situazione hanno dimostrato essere visibilità e inclusione (ad esempio negli studi sulle interazioni tra terapie ormonali e PrEP o farmaci antiretrovirali); un’educazione alla prevenzione mirata (orientata quindi a corpi, relazioni e comunità specifiche); superamento delle discriminazioni in ambito sanitario che impediscono o rendono difficile accedere a cure e servizi (in primis la negazione dell’identità o del genere); contrasto attivo alla violenza (troppe persone trans sono disincentivate a denunciare licenziamenti ingiusti, aggressioni subite o a recarsi in ospedale per cure post aggressione, come la PEP - la Profilassi Post-Esposizione); contrasto al bullismo e alle discriminazioni in ambito scolastico (che sappiamo tradursi in abbandono degli studi, povertà, disoccupazione e maggiore vulnerabilità).
L’epidemia dell’HIV in 40 anni non ha lasciato dubbi: l’unico modo per porre fine alla crisi di HIV e AIDS è non lasciare nessuno, nessuna e nessunə indietro.
C’è ancora molto da fare, e tante sfide da visibilizzare e vincere.